
“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani.”
Piero Calamandrei, giurista e politico, tra i padri costituenti (1889-1956)
Pianca è una piccola frazione di San Giovanni Bianco, in provincia di Bergamo, situata a circa 850 metri di altitudine ai piedi del monte Cancervo. Il borgo, abitato stabilmente da una trentina di persone, mantiene l’aspetto tipico dei villaggi della Val Brembana, con case in pietra e strette vie che si intrecciano tra loro.
Dal paese si apre una vista suggestiva sulle valli circostanti, che ne esalta la posizione isolata e silenziosa.
Elemento centrale è la chiesa di Sant’Antonio Abate, costruita nel XV secolo. Al suo interno si trovano opere di rilievo: alcune tele di Carlo Ceresa, pittore seicentesco bergamasco, e una tavola con la Pietà attribuita ad Andrea Previtali, allievo di Giovanni Bellini, o secondo altri ad Adolfo Venturi.
Ogni anno il borgo rinnova le proprie tradizioni religiose: il 17 gennaio gli abitanti celebrano Sant’Antonio Abate, mentre a luglio si tiene la festa della Madonna della Pietà, a testimonianza di una comunità che conserva un forte legame con la propria identità.
La storia civile di Pianca conobbe momenti particolari. Nel 1626, dopo lunghe dispute, ottenne l’autonomia da San Giovanni Bianco e si amministrò con un consiglio, un console e due sindaci. Tuttavia questa indipendenza durò poco: nel 1797 il paese fu inserito nel cantone di Zogno e l’anno seguente unito a Camerata. Lo storico Maironi da Ponte documenta che nel 1776 Pianca contava circa 200 abitanti, un numero ben più alto di quello attuale.
Durante la Seconda guerra mondiale il borgo ebbe un ruolo significativo. Qui sorse una delle prime bande partigiane della valle e alcuni abitanti offrirono sostegno ai perseguitati. Tra loro spiccano Antonio Pianetti e Ambrogia Vitali, contadini che, con il consenso del parroco don Ugo Gerosa, accolsero ebrei in fuga dalle persecuzioni nazifasciste. Dal 1943 al 1945 rischiarono la vita per proteggere uomini, donne e bambini.
Il loro coraggio fu riconosciuto nel 1955 con un attestato firmato dal generale Harold Alexander, comandante delle forze alleate in Italia, e con una medaglia della comunità ebraica italiana. Documenti rimasti nascosti fino alla loro morte, ma che oggi testimoniano l’importanza della memoria e del sacrificio.
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