
“La rabbia è come una polveriera: se la chiudi, prima o poi esplode.”
Carl Gustav Jung
A Bergamo, durante il Rinascimento, la gestione della polvere da sparo rappresentava un problema serio. Per contenerla in sicurezza si costruivano apposite strutture chiamate “Torresine”, ossia polveriere, collocate in luoghi protetti e isolati. La loro funzione era chiara: evitare esplosioni nelle zone abitate.
Infatti gravi incidenti erano già accaduti in precedenza. Il 17 giugno 1511, un fulmine colpì un deposito nella Rocca, provocando una violenta esplosione. I danni furono ingenti: l’onda d’urto investì l’area circostante e la città subì gravi conseguenze.
I massi scagliati dall’esplosione colpirono abitazioni e persone, dimostrando quanto fosse pericolosa la vicinanza di questi depositi alla popolazione.
Durante le guerre della Lega di Cambrai, tra il 1508 e il 1516, il castello di San Vigilio assunse un ruolo difensivo più importante, mentre la Rocca fu relegata a deposito. La sua posizione, però, in altura e vicina alle case, restava un fattore di rischio. Nel 1595, il capitano Giovanni Querini segnalò il pericolo di una possibile esplosione se un fulmine avesse colpito la polvere lì conservata.
Tra il 1580 e il 1582, per migliorare la sicurezza, furono costruite due nuove polveriere: una nel forte di San Marco, l’altra nella valletta tra Colle Aperto e Porta San Lorenzo. Erano robuste, ben nascoste e dotate di una doppia copertura a piramide e parallelepipedo, ideata per contenere eventuali esplosioni. Tuttavia, il deposito nella Rocca non fu dismesso e continuò a essere utilizzato anche dopo la costruzione delle Torresine.
Il 22 settembre 1663, un fulmine colpì nuovamente la torre della Rocca, ancora adibita a deposito. L’esplosione fu devastante: distrusse gran parte della struttura e i massi scagliati dall’esplosione causarono nuovi danni alla città e vittime tra la popolazione.
Ora, le polveriere sono tra le poche strutture militari originarie ancora visibili a Bergamo.
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