
“Fonti pure danno acque limpide.”
Leonardo da Vinci
Nel cuore della Città Alta di Bergamo, nascosto sotto strade e piazze, si estendeva un ingegnoso sistema idrico realizzato nei secoli passati per garantire l’approvvigionamento d’acqua. Quattro erano le principali sorgenti che alimentavano questo reticolo: quella del Corno, del Vàgine, del Lantro e, non da ultima, la sorgente della Boccola.
Quest’ultima scorre ancora oggi sotto la Chiesa di San Matteo, nei pressi dell’antico Seminario, lungo l’omonima via della Boccola.
Camminando sul lato sinistro della strada, a circa metà percorso, si notano alcune aperture nella muratura: si tratta delle ispezioni ricavate direttamente nelle antiche condotte in pietra, a testimonianza del passaggio della canalizzazione sotterranea.
Il canale che convoglia l’acqua compie un tratto in discesa, per poi riaffiorare in una piccola valle alle spalle della Casermetta di Porta San Lorenzo.
Qui l’acqua fuoriesce da una struttura in pietra chiamata “Bocca” o “Boccola”, da cui l’intera zona ha preso il nome. Non è escluso che questa condotta servisse anche a smaltire l’acqua in eccesso proveniente dalla vicina sorgente del Vàgine, unita forse allo stesso sistema.
Nel XVI secolo, le autorità cittadine si trovarono a dover regolare l’uso di questo spazio appartato. Un’ordinanza municipale proibiva espressamente alle donne “di facili costumi” di trattenersi oltre il tempo necessario per attingere acqua. La posizione nascosta della sorgente favoriva infatti incontri poco leciti, e le autorità temevano che l’area potesse trasformarsi in un luogo di degrado.
La fama ambigua della zona è rimasta viva nei secoli. Ancora nel Novecento, Città Alta veniva ironicamente descritta con l’espressione “la città delle tre P”: poveri, preti e prostitute. Un detto che, tra ironia e verità, racconta qualcosa del tessuto sociale del borgo antico e delle sue tante contraddizioni.
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